IL QUINTO QUARTO, TRA TRADIZIONE E RISORSA NUTRIZIONALE

Quinto quarto è un termine utilizzato in senso negativo per distinguere i tagli nobili di prima scelta, i quattro quarti appunto, dalle cosiddette frattaglie, che a loro volta sono distinte in frattaglie rosse (fegato, cuore, rognone, polmone, milza e lingua) e bianche (cervello, animelle e trippa). Per tradizione il quinto quarto veniva riservato agli addetti al lavoro del macello, essendo considerato un cibo povero, dunque raramente esposto sui banconi delle macellerie e proposto soltanto nei menu delle trattorie più a buon mercato. Ora tuttavia non è più così. Fortunatamente in Italia abbiamo cuochi di grande lungimiranza che hanno deciso di allargare il panorama degli ingredienti dei ristoranti stellati, inserendovi anche gli umili scarti della macellazione, come dimostrano Massimo Bottura, che nel ristorante migliore del mondo serve piatti commoventi come “il bollito non bollito”, o Niko Romito che propone l’emozionante interpretazione di “panna, animelle e limone”. Dunque, chef come loro hanno dato il via ad una rivoluzione di pensiero, permettendo, soprattutto alle nuove generazioni di cuochi, di comprendere che materie prime povere come le frattaglie, abbinate ad una grande tecnica di trasformazione, possono dar vita ad esecuzioni di alta fattura. Per non parlare della nostra Puglia, terra in cui è considerato un delitto gettare i prelibati avanzi della macellazione, che vengono sapientemente trasformati da artigiani locali in leccornie come i “torcinelli salentini” a base di cuore, fegato, polmone e milza di agnello e capra; la “salsiccia pezzente” di Gravina, preparata con gli scarti del maiale; il cervello di agnellino fritto tipico dell’entroterra brindisino. O ancora i famosissimi “nghiemeridde” baresi con fegato e prezzemolo, e avvolti nel budello di agnello, e il “cazzomarro”, grosso involtino ripieno di cuore, polmone, fegato e animelle, sempre avvolti nel budello d’agnello.

A destare il maggiore interesse sono tuttavia gli aspetti alimentari e ambientali legati al consumo delle frattaglie, dal momento che esse costituiscono una valida ed economica alternativa ai costosi tagli di prima scelta, conservando intatti gusto e valore nutrizionale. E allo stesso tempo l’impiego dell’intero animale, senza sprecare nulla, può contribuire a ridurre il numero dei capi di bestiame necessari per sfamare la popolazione, e quindi può aiutare a contrastare la piaga degli allevamenti intensivi, dello sfruttamento degli animali, e dell’inquinamento generato dalle macro industrie zootecniche. A tutto vantaggio dei piccoli allevatori locali tradizionali che garantiscono il tipo di alimentazione e la salute degli animali, e al fine di mettere i loro prodotti nelle condizioni di competere sul mercato con quelli della grande distribuzione.

Il presente articolo è stato scritto in collaborazione con Michele Dello Russo.